CAPITOLO TERZO

-    Allora sacco a pelo?

-    ...?

-    E dove vorresti dormire al Ritz?

-    No, però...

-    Va bene il sacco a pelo, okay?

Quando alla fine Lele era riuscito a convincerci avevamo passato un’ora a discutere sul come e sul dove avremmo dormito. Appena avevo pronunciato la parola sacco a pelo era successo il finimondo. Lele, il volto contratto in un’espressione di orrore puro, aveva cominciato a dire che io per terra non ci dormo, in mezzo a un prato tu sei matto, e ci saranno le formiche, e ci hai pensato alle vipere e se piove che cazzo facciamo e se e se.

-    Ti sei dimenticato l’invasione delle locuste, — aveva detto Becco. E giù di nuovo a litigare.

Sono in ritardo di due ore. Faccio avanti e indietro alla finestra per vedere se arrivano e intanto mi dico che se hanno cambiato idea tanto meglio. Non sono più cosi convinto. Né di voler partire né di volerlo fare con loro.

Mia madre entra in camera mia. Sento la porta schiudersi, piano, e subito dopo il fruscio morbido delle sue ciabatte sul pavimento. Pochi passi, forse un paio. Non dice niente, non subito almeno. Sento che mi guarda. Me lo sento sui capelli e sulla nuca, il suo sguardo. Assente, lontano. Silenzioso.
Lei non condivide la mia decisione, dice che non serve a niente, lei. Ieri sera ha detto: alla tua età è normale lasciarsi. Sono cose che succedono. Ma io lo so a cosa si riferiva. Anche quando è morto papà ha detto sono cose che succedono. Solo che quella volta piangeva ed era triste. Io ero piccolo, e quello che ricordo più di tutto, li nel cimitero, mentre tirava il vento cosi forte che i fiori si piegavano sugli steli e i cipressi ondeggiavano contro le nuvole cariche di pioggia e la terra si sollevava in sbuffi marroni mentre i becchini ricoprivano la bara, quello che ricordo più di tutto, mentre cercavo per la prima volta di perdermi nei dettagli, nei dettagli e nei colori, quelli dei cappotti di tutta la gente che ci si stringeva addosso e faceva venire voglia di gridare, nei dettagli e nelle forme, quelle delle cose che mi giravano attorno e tremavano liquide dietro le ciglia, quello che mi ricordo più di tutto, quel giorno, sono proprio le lacrime di mia madre, la sua tristezza e quelle parole di rassegnata accettazione.

Sono cose che succedono, ha detto ieri sera. Se è quello che vuoi, è giusto che tu lo faccia, mi dice adesso, mentre è sulla porta della mia camera e io le giro le spalle.

Sorrido e mi volto.

-    Sempre che Becco e Lele arrivino, — dico.

-    Vedrai che arriveranno.

-    Mio padre mi ha lasciato la Mercedes, cosi abbiamo anche l’aria condizionata, — dice Lele saltando giù dalla macchina.

Becco abbassa il finestrino e, con un muso che gli sfrega per terra, dice: — Sai che bello! Ci mancano i pinguini, qui dentro.

-    Che è successo? — chiedo.

Lele apre il baule, mi sfila dalle mani sacco a pelo e zaino e li getta dentro. — C’è che qua il signorino crede di andare a un convegno letterario. Guarda quanta roba si è portato, — continua indicando la pila di libri sul sedile posteriore. Getto un’occhia  ta attraverso il lunotto. Blake, Neruda, Pavese, Whitman e l’immancabile Borges. Becco adora Borges.

-    E tu allora? Lui crede di andare in crociera. Devi vedere quante maglie. E tutte di marca, il figo.

-    E non hai visto la musica. Beethoven, Mozart, Pergolini...

-    Pergolesi!

-    Roba da collasso, insomma...

-    Senti, — adesso Becco mi sembra davvero incazzato. Scende dalla macchina e sbatte la portiera. — Io non ci volevo neanche venire, e se ti dà cosi fastidio posso anche tornarmene a

casa...

-    Non mi dà fastidio, è che sei cosi...

-    La vogliamo smettere? — urlo. — Non siamo ancora partiti e già vi sbranate per delle scemenze. Sono io che non resisto due giorni con voi!

-    Okay, okay, - si affretta a dire Lele alzando le braccia. Poi pianta l’indice sotto il naso di Becco e dice: - Ma ti avverto: alla prima poesia che ci leggi voli fuori dal finestrino.

-    Devo giustificare ciò che mi ferisce. Non importa la mia fortuna o la mia sventura. Sono il poeta. Che ve ne pare?

-    Giuro che te lo faccio ingoiare, quel libro!

Ormai il centro di Bologna ce lo siamo lasciato alle spalle. Stiamo percorrendo l’ultimo tratto di tangenziale prima di immetterci in autostrada. Fa caldo. Becco ha letto Borges ad alta voce finché Lele per farlo stare zitto non l’ha accontentato e ha spento l’aria condizionata.

Sono seduto davanti, di fianco a Lele. Becco è dietro e adesso sfoglia la cartina stradale. Siamo in silenzio. Perché Loosing my religion esce dallo stereo, riempie l’abitacolo e ci zittisce. Ma non sono i R.E.M. a cantarla. Sono gli Swandive. E la voce della cantante è una carezza languida che scivola sulle note, buca la musica e arriva dritta al cervello.
Quando entriamo in autostrada direzione Ancona, gli 883 cantano un vecchio pezzo: Rotta per casa di Dio.

Rotta per casa di Dio.

E forse non è un caso.

Nessun commento:

Posta un commento