CAPITOLO DECIMO

Farà di tutto per non partire.

Questo pensiero mi rimbalza da una parete all’altra della testa, come una palla troppo alta che io non riesco ad afferrare.

Ad un certo punto Lele si alza dal lettino e viene verso di noi. Dal sorriso ruffiano che ha stampato sulla faccia capisco che sta per proporci qualcosa che non mi piacerà affatto.

Si china di fronte a noi e ci guarda.

-    Che ce? Ti è venuta una paresi? - dice Becco.

-    Ho una proposta da farvi.

Come non detto, penso.

-    Che ne dite di una piccola deviazione?

-    Quale deviazione? - chiede Becco.

Io    sto zitto. Lo so, me lo sento, che la cosa che sta per dire non mi piacerà.

-    Accompagniamo a casa Melissa —. Dice «Melissa» girando la testa verso la ragazza. Lei alza la manina, ci sorride, e ci saluta. Senza rendercene conto anche io e Becco alziamo la nostra manina, sorridiamo, e la salutiamo. Tra i denti chiedo: - E dove abita Melissa?

-    È una piccola deviazione, non ci vorrà molto...

-    Dove abita Melissa?

-    A San Marino.

-    Ma cosa sei, scemo?

-    Andiamo... sono poco più di venti chilometri, non ci vorrà molto...
Nemmeno questa volta gli diciamo niente.

Mentre siamo in macchina e io sono seduto dietro insieme a Becco, la testa appoggiata contro il vetro del finestrino, penso. È come se questo giorno non dovesse più finire, è come se ieri fosse secoli fa. È come se la realtà avesse perso i propri contorni. E come se stessimo viaggiando da sempre e senza meta. Come se il tempo, dentro di noi, non avesse più alcun valore. È come se aleggiassimo sospesi a pochi centimetri dal mondo reale. E come se non ci importasse più di niente. Il viaggio di Lele in Inghilterra, il mio impegno di lavoro, i corsi di pittura e scrittura di Becco. È come se fossero altre cose, cose che appartengono all’altra metà di noi, cose che stanno li, in quella fetta di realtà che ci siamo lasciati alle spalle.

Anche lei fa parte di un’altra realtà. È la conclusione di questo viaggio. È la meta che nessuno di noi, forse, ha voglia di raggiungere.

Il    sole è una spilla arancione pulsante e rotonda. Le torri di San Marino svettano sul monte Titano. Appendici senza tempo che nascono dalla roccia e trafiggono il cielo.

Ci mettiamo più del previsto ad arrivare. Perché c’è traffico. Ci sono i turisti e ci sono i residenti, che fanno la spola. C’è una luce dorata, adesso, arriva di sghembo da dietro il monte e scioglie i contorni della pianura, giù, fino al mare. Sono quasi le sette e mezzo e la radio trasmette II mio tempo dei Chief and Soci, un rap lento e ritmato che ad un certo punto dice noi sul prato stesi con le nostre vite in pugno.

L’amica di Lele abita dentro le mura, cosi saliamo fino in cima e parcheggiamo nel primo buco che troviamo.

Lele dice cinque minuti, il tempo di accompagnarla davanti a casa e torno.

Scendono dall’auto e si allontanano abbracciati.
Dopo un’ora di attesa ci viene il dubbio che Lele ci abbia fregato un’altra volta.

-    Dovevi aspettartelo, — dice Becco. Se ne sta quasi sdraiato, le braccia incrociate sul petto e le ginocchia puntellate contro lo schienale del sedile davanti. Tiene la testa piegata dall’altra parte, verso il finestrino, e guarda fuori. È tranquillo, Becco. Come se quel ritardo non lo riguardasse affatto.

-    Io vado a cercarlo, - dico. Becco non ribatte e io comincio ad averne abbastanza. Di lui, del suo distacco, di Lele e di questa situazione.

-    E dove vai a cercarlo? È meglio che ti calmi...

-    Calmarmi? Sono stanco, incazzato e affamato...

-    E allora facciamoci una piadina.

-    Ma come fai ad essere sempre cosi tranquillo? - Lo guardo. Il ciuffo di capelli gli è sceso sulla tempia. L’ombra che crea sul suo volto è una mezzaluna scura che parte dalla guancia e termina alla radice del naso.

-    Non sono sempre cosi tranquillo. Ogni tanto. Ma non sempre.

-    E perché adesso? Perché non...

-    Perché a volte è diffìcile fermare Lele. Lele ottiene sempre quello che vuole. È un viziato -. Lo dice in uno strano modo, però. Lentamente e senza astio, come se quelle parole fossero il risultato di una lunga riflessione. Come se dietro a quelle parole ci fossero altre parole non dette e altri pensieri da non dire.

-    Di solito ti fa incazzare questo fatto.

-    Non ho detto che non sono incazzato. Probabilmente quando lo vedo mi incazzo. Siamo partiti a mezzogiorno, sono le otto e mezzo di sera e siamo solo a San Marino. Certo che sono incazzato. E quando penso che non sappiamo neanche quando ci arriviamo a Gallipoli mi incazzo ancora di più, però...

-    Però?

Gira la testa e mi guarda. Di nuovo lo stesso sguardo. Insistente, profondo.
-    Non lo so. È come se... - scuote la testa. - Va be’, niente, lucriamoci questa piadina, va’!

È come se ci fosse dell’altro in Lele. Un piccolo segreto, qualiosa che lo tormenta. Che lo allontana e lo avvicina al tempo stesso.

Perché deve esserci una ragione se noi tre siamo amici.

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