CAPITOLO DODICESIMO

Siamo tornati in macchina che erano quasi le tre. Becco si è sdraiato dietro, io sul sedile davanti. Ci siamo chiusi dentro e abbiamo acceso la radio. Becco ha chiesto se gli mettevo su Sta-bat Mater di Pergolesi. Siamo rimasti in silenzio ad ascoltare, ognuno affondato nei propri pensieri. Il volume bassissimo, la voce del soprano e i violini hanno chiuso la nostra mente e ci hanno cullato per non so quanto. La luna era sospesa al centro del parabrezza, appesa allo specchietto retrovisore come un pendaglio. L’ho guardata a lungo, poi mi sono addormentato. Deve essere stato Becco a spegnere la radio.

Sono le otto del mattino quando Lele bussa contro il finestrino dalla mia parte. Apro gli occhi e lo vedo sorridermi attraverso il vetro. Anche Becco si sveglia. Si solleva a sedere e chiede che succede? Poi vede Lele e quello che dice subito dopo, a bassa voce e mangiandosi le parole, è una cosa che assomiglia a una catena di parolacce.

Lele è piegato in avanti e ci mostra un sacchetto di carta bianco. Lo indica anche con un dito. Avanti, fatemi entrare, dice.

Ho la mente ancora annebbiata e mi ci vuole qualche secondo per capire che l’unica cosa che devo fare è sbloccare la chiusura centralizzata. Mentre Lele fa il giro della macchina mi stropiccio gli occhi con le dita e tiro su il sedile.

-    Ragazzi, guardate cosa vi ho portato, — dice Lele non appena entra in macchina. Apre il sacchetto di carta e mentre ci caceia in mano una brioche ancora calda e tutta ricoperta di zucchero a velo, dice: — Uscivo dalla casa di Melissa e mi sono detto: ma perché non portare la colazione a Becco e ad Ale? Cosi sono entrato in un bar... Volevo prendervi anche un caffè, ma non sapevo come portarvelo, cosi... Ehi, che avete da guardarmi a quel modo?

Io e Becco, immobili con le nostre brioche in mano, lo fissiamo ammutoliti.

Lele, che sta per appallottolare il sacchetto di carta vuoto, si blocca. - Mbe’? Che c’è?

—    Ma cosa sei, cretino? - sbotta Becco. Nel momento in cui gli molla uno schiaffo sulla spalla una nuvoletta di zucchero si solleva dalla sua brioche. - Avevo il sospetto che tu fossi deficiente, ma non credevo che lo fossi cosi tanto... Ma ti rendi conto?

—    Che c’è?

Becco sgrana gli occhi e mi guarda. - Questo non è semplicemente deficiente! Questo è la deficienza fatta persona! Questo è l’idea incarnata della deficienza...

—    Ma si può sapere che c’è?

—    Inoltre come tutti i veri deficienti, non sa di esserlo...

Becco si lascia andare sul sedile. Abbiamo ancora la nostra

brioche tra le dita e non so se mettermi a ridere o incazzarmi anch’io. Lele ci guarda a bocca aperta per una frazione di istante. Quando ripete per l’ennesima volta che c’è e Becco esplode in un Oddio, questo è proprio scemo io dico ma si può sapere dove cazzo sei stato?

—    Da Melissa...

—    Da Melissa, eh? — Becco si è di nuovo raddrizzato sul sedile. - Avevi detto cinque minuti, il tempo di accompagnarla!

—    Lo sapete come vanno queste cose...

—    No, io non lo so come vanno queste cose! Ma so di certo che ci hai lasciato qui tutta la notte... Non hai pensato a noi? Non hai pensato che lo scopo di questo viaggio era andare a Gallipoli? - Becco si agita. Accompagna ogni frase con un movimento delle braccia. E ad ogni movimento sono nuvolette di zucchero che si sollevano.

-    Ehi, mi dispiace...

-    Mi dispiace un accidente!

-    Non ho pensato...

-    Tu non pensi mai! Ecco qual è il tuo problema!

-    E tu invece non capisci un tubo!

-    Cosa fai? Adesso ti arrabbi tu?

-    Certo che mi arrabbio!

-    Silenzio! - grido. - E tu smettila di muoverti! Lo zucchero della tua brioche mi sta...

-    Vaffanculo, Ale!

-    Ma vaffanculo, tu!

-    Ehi, Ale ha ragione, mi stai sporcando tutta la macchina...

-    Tu sta’ zitto! - dico. - Con te sono arrabbiato.

-    Uhh che palle...

-    Che palle un corno!

-    Questo è deficiente, questo è deficiente...

-    Insomma, con quella brioche...

-    Questo è deficiente, questo è deficiente...

Dopo un’abbondante sequenza di insulti, grida, rimproveri e candide nuvolette di zucchero, riusciamo a calmarci soltanto dopo l’inevitabile quanto doveroso triangolo finale di va’ a cagare tu pezzo di imbecille.

Quello che segue è il classico silenzio post-litigio. Gonfio e teso come un palloncino pronto ad esplodere. In realtà siamo meno arrabbiati di quello che vogliamo far credere, ma il fatto di sapere che basterebbe un gesto o una frase per sbloccare la situazione rende il nostro silenzio ancora più gonfio e teso. Facciamo finta di niente, ma in realtà ci stiamo studiando. Lele continua a lanciare sguardi a Becco attraverso lo specchietto retrovisore, Becco guarda oltre il finestrino di sinistra e sbuffa, io faccio tamburellare le dita della mano destra sul ginocchio. E intanto ognuno aspetta che l’altro, esasperato, compia il passo falso e dica qualcosa.

E questo succede nell’attimo esatto in cui io e Becco addentiamo la nostra brioche. E quando Lele si gira di scatto, ci punta un dito contro e dice ah ah fate tanto gli incazzati però la brio-che la mangiate, noi scoppiamo a ridere, il palloncino esplode e la tensione crolla.

Da un lato c’è lo scopo del viaggio, la fretta e il desiderio di arrivare. Da un lato c è un inizio e una fine. Una partenza, un arrivo e degli impegni da rispettare.

Dall’altro, invece, c e solo il piacere di essere al centro di qualcosa. Senza partenze e senza arrivi. Senza scopo e senza fretta.

E questa la sensazione che ho. Di fare un viaggio nel viaggio. O due viaggi distinti, che solo a volte si incrociano per poi divaricarsi ancora. Due fili di una trama dalle maglie molto larghe.

Lasciamo San Marino quasi subito. Lo stereo a palla per combattere la stanchezza e la macchina che scende veloce lungo la strada.

L’aria è quella fresca e un po’ pungente del mattino. Il sole, basso sul mare, schiarisce il cielo in un azzurro pallido. Dicono che a volte, quando è molto sereno, dal monte Titano si riesce a vedere la costa della ex Iugoslavia. Una linea sottile e scura sotto l’orizzonte. Non lo so, perché stamattina ce un po’ di foschia, una coltre di fumo bianco, ma più leggero e sottile. Un mantel-

lo    impalpabile, una coperta sfilacciata e morbida che avvolge le cose. Come se alcune nuvole, quelle più piccole e stanche, fossero scese durante la notte e si fossero addormentate sulla pianura.

Nessun commento:

Posta un commento