CAPITOLO OTTAVO

Mentre eravamo li, è successo di nuovo. L’abbiamo sentito. Il piacere di stare insieme ci ha attraversato. Alto e limpido come

il    volo di un’ala sopra la testa.

Sono quasi le quattro del pomeriggio quando ci rimettiamo in marcia. Bologna-quasi Cesena in più di quattro ore non è male, dico. Ma lo dico senza parlare.

Lele si è cambiato la maglia e ha gettato quella sporca nel portabagagli insieme alla ruota bucata. Non appena è risalito in macchina ha sibilato un non voglio commenti che ha inchiodato me e Becco al sedile.

Nero come le nostre mani sporche di morchia, ha guidato in punta di dita e in silenzio fino all’autogrill successivo.

Quando siamo usciti dalla toilette, però, mi ha preso sotto-braccio, mi ha sorriso e ha detto: - Adesso ti giuro che ti ci porto dalla tua fidanzata.

Quando penso a lei, penso che vorrei chiedere a Becco e Lele cosa ne pensano. Quando ho detto che volevo partire, non hanno fatto domande. Non hanno fatto domande nemmeno quando hanno saputo che avevamo rotto. Becco si è limitato a fissarmi in quel modo che non si sa mai a cosa sta pensando. Uno sguardo attento e fermo, di quelli che ti spaccano in due, che ti imbarazzano a morte e ti fanno venire il dubbio di aver detto una cazzata. Lele, invece, neanche a dirlo, mi ha passato un braccio attorno alle spalle e ha sospirato un ah, le donne carico di significato.

È come se ci fosse sempre stata una sorta di tabù, tra di noi. O una sorta di limite invalicabile. Un confine, una linea invisibile fatta di discorsi e inquietudini e pensieri da tenere nascosti. Metri e metri sotto terra. Come il tesoro di certi racconti d’avventura, o come una vergogna. Di quelle che dici tanto loro non capirebbero.

Forse è questo che non ci fa parlare. Questa cosa senza nome che sa di paura profonda e che sta li, a guardia di quel limite invalicabile, come uno spettro bianco o come una sentinella nera dagli occhi vuoti. A guardia del tesoro da proteggere e della vergogna da occultare.

Con la coda dell’occhio spio Lele e Becco. Becco sta leggendo La Repubblica, anzi, in realtà è scomparso dietro il giornale. Lele, gli occhi schermati dalle lenti degli occhiali da sole, guida con la nuca contro il poggiatesta ed entrambe le mani posate sulla parte bassa del volante. Se non fosse perché fa tamburellare il pollice al tempo di una canzone dei Nirvana direi che sta dormendo.

Li spio. E mi chiedo a cosa pensano, in questo momento. E se c’è qualcosa a cui pensano più spesso. Qualcosa che fa ritardare loro il sonno, che li esilia dal mondo anche solo per pochi istanti, che li lascia indietro, in ritardo, rispetto alle cose che girano.

Adesso, mentre sono qui che li osservo senza farmi notare, protetto dalle lenti scure degli occhiali, vorrei chiederglielo. Cosa pensano di lei e dell’idea di questo viaggio. Dietro queste lenti scure, senza guardarli negli occhi e magari facendo fìnta di niente.

Adesso. Adesso che siamo qui tutti e tre, estraniati da questa realtà nuova, con un velo di libertà spalmato sulla pelle forse per via di questa strada infinita che sottolinea la terra e ci guida lontano, adesso che siamo qui e che ci siamo da soli, magari, adesso che siamo qui, se glielo chiedo, magari anche loro dissotterrano il tesoro, magari anche loro adesso pensano che hanno voglia di parlare e di rispondere e di dire. Magari anche loro pensano che sia sufficiente rompere il ghiaccio.

Potrei iniziare io. Magari potrei iniziare dicendo, ragazzi, c’è questa cosa che mi gira dentro, ed è importante questa cosa, lo so, perché a volte fa male, è come un gancio d’acciaio appuntalo nel cuore, questa cosa.

È lei questo gancio infilato nella carne, lei che mi ha lasciato c che dice di non amarmi più. E adesso stiamo andando da lei e voi mi accompagnate e allora quello che vorrei sapere è se faccio bene o male a rincorrerla, se faccio bene o male a inseguire questa cosa che giorno dopo giorno mi sembra sempre di più il contorno di un sogno.

Io non lo so, ragazzi, ma se voi siete miei amici, perché lo siete se mi state accompagnando, dovete dirmelo, se faccio bene o no. Perché a me fa paura questa cosa di lei che non c’è più, mi fa paura perché, lo so che è banale e forse ridicolo, ma senza di lei mi sento solo. E poi c’è questa altra cosa, questo dubbio che ho e che gratta, grida e si muove come un animaletto rinchiuso in una gabbia. Questo dubbio che è una domanda ed è se anche voi a volte avete paura, se anche voi a volte vi sentite diversi e lontani, o se sono solo io quello che rimane indietro, quasi fermo, rispetto alle cose. Dovete dirmelo, ragazzi, se anche dentro di voi c’è un gancio d’acciaio simile al mio.

C’è la coda all’uscita Rimini-Nord. Mentre sfrecciamo accanto alle macchine ferme, guardo le facce della gente.

Poi mi stanco e torno a guardare dritto.

L’asfalto, in lontananza, è uno specchio d’acqua che esala calore. L’aria, sullo specchio d’acqua, è una vela trasparente che sbatte silenziosa. 

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