CAPITOLO QUINDICESIMO

Quando gli inconvenienti superano la tua presunta capacità di sopportarli, quando il nervoso si trasforma in sconforto e la rabbia in impotenza tutto quello che 1 tuoi sensi registrano, anche le cose più insignificanti e marginali, tutto, ti sembra più nitido, pesante e negativo. E allora ecco che mentre siamo qui, fermi con la macchina sul ciglio di questa stradina in salita immersa nel verde, tutto attorno mi sembra una variante estrema e grottesca della realtà. Il verde è troppo verde e innaturale, gli alberi spettinati dal vento sono un dondolio stonato e nauseante, il cinguettio degli uccelli è un lamento acuto e fastidioso e il sole è uno strato di brace sanguigna sulla pelle. E poi il caldo è troppo caldo, asfissiante e umido e la voce di Renato Zero che canta be-llaaa-ì-la viìi-taaa sa tanto di suprema, irriverente e necessariamente conclusiva presa per il culo.

Probabilmente questa catena di sfighe è troppo anche per Becco e Lele perché, per la prima volta nella loro storia comune, stanno zitti e non si incolpano a vicenda.

Da parte mia cerco ancora di capire come ho fatto a sbagliare strada e come ho fatto a perdermi. Mi chiedo perché ho imboccato questa direzione, ma soprattutto mi chiedo perché proprio la catena della distribuzione.

La prima cosa è stato uno schianto secco e metallico, seguito subito dopo da uno sbuffo di fumo denso e grigio. E quando ho fermato la macchina e siamo scesi l’espressione sul volto di Lele era esattamente l’espressione che non volevo vedere. E quando abbiamo aperto il cofano e il fumo ci ha avvolti come in una scena da cartone animato e Lele si è messo le mani sulla testa e ha detto quella cosa, anche quella era esattamente la cosa che non volevo sentire. Oddio, siamo rovinati. Per un attimo ho anche creduto che Lele si sarebbe messo a piangere.

Sconsolati, abbiamo guardato il motore per almeno cinque minuti. Poi siamo tornati in macchina e abbiamo fatto esattamente quello che cera da fare. Cioè niente. Siamo stati zitti perché, ero certo, se qualcuno di noi avesse detto anche solo bao sarebbe successo il finimondo. La capacità umana di sopportazione ha un limite. Cosi, mentre osservavo lo sguardo vuoto di Lele e quello confuso di Becco, pensavo in termini apocalittici. Dio ci stava punendo. La catena della distribuzione si era rotta nel luogo più desolato della terra e proprio di sabato pomeriggio. Questo implicava che se avessimo voluto proseguire avremmo dovuto noleggiare una macchina, oppure che avremmo dovuto aspettare fino a lunedi. E se volevamo aspettare fino a lunedi questo significava telefonare a casa per avvertire e magari sorbirci ognuno le rispettive ramanzine. E tutto questo a condizione di trovare, lunedi, un meccanico zelante e pietoso che ci facesse il lavoro entro la giornata. Dio ci stava punendo, ma i Litfiba dalla radio stanno cantando la speranza è l’ultima a morire, chi visse sperando mori' non si può dire, cosi mi rendo conto che, intanto, la prima cosa da fare è telefonare e farci venire a prendere da un carro attrezzi.

—    Lele?

—    Si?

—    Prendi il cellulare e chiama un carro attrezzi.

—    Non posso.

È l’espressione della faccia di Lele che mi fa tremare le parole sulla lingua.

—    P-perché...?

—    Perché è scarico e credo di aver dimenticato il carica batterie a casa di Melissa.

Si. Dio ci stava punendo.
-    Okay, — dice Becco. — Che si fa ora?

Non so perché ma quella domanda, fatta adesso e con quel tono neutro e calmo, mi fa salire il sangue al cervello. Mentre mi giro sul sedile per guardare Becco, per una frazione di istante il pensiero che mi attraversa la testa è: perché Becco si incazza quando non ce n’è bisogno e invece quando ce ne bisogno assume quell’aria tranquilla che mi dà tanto sui nervi?

Lo guardo. È seduto al centro del sedile, le braccia conserte e le gambe accavallate neanche fosse a teatro. Lele, invece, lo sguardo rivolto verso il basso, si tiene la fronte fra pollice e indice in una perfetta interpretazione dell’uomo più affranto del mondo.

-    Che si fa? Ma non hai sentito? Qua il signorino si è dimenticato il carica batterie...

Lele solleva la testa e mi guarda. — Ehi stai calmo! Di chi è la colpa se ci troviamo qui?

-Mia?

-    Se non sbaglio l’imbecille che ha sbagliato strada sei tu!

-    Perché voi non ce li avete gli occhi per guardare i cartelli? Tutto questo non sarebbe mai successo se non mi avessi ordinato di uscire dall’autostrada!

-    Quelli ci stavano inseguendo!

-    E vero, — dice Becco.

-    Tu sta’ zitto! - grido. — Che cavolo ti è saltato in mente di fargli quel gesto, eh?

-    Il problema non è essersi persi! Il problema è che per colpa tua abbiamo rotto la catena del motore...

-    Seee, della bicicletta... Ma sta’ zitto!

-    E poi se tu non avessi corso cosi tanto...

-    E chi è che mi gridava di accelerare? E chi sono i due imbecilli che si sono messi a litigare?

-    È colpa sua! - urla Becco indicando Lele con un dito.

-    Mia?

-    E non fare quella faccia! Hai cominciato tu a prendermi in giro per via di Borges!
—    Tu rompi le palle!

—    Se voi due non aveste...

—    Si, e se e se, - dice Becco. — Se mio nonno avesse le ruote sarebbe una carriola... Ma sta’ zitto!

Questo è davvero troppo. Mi giro in avanti, le spalle che aderiscono allo schienale e le mani sul volante. Inspiro profondamente e con un tono di voce che non mi sembra neanche il mio, dico: - Io non ce la faccio più. Sapete cosa vi dico? Che è stato un grosso errore fare questo viaggio con voi. Se avessi preso il treno tutto questo non sarebbe successo...

Ci guardiamo un istante soltanto. Il silenzio che ci sta avvolgendo è strano. Una pausa tesa, un momento di passaggio che dura poco ma che la mia coscienza registra come lunghissimo. Fisso un punto indefinito di fronte a me, un po’ più spostato a sinistra, un punto inesistente tra il bordo della strada e un ciuffo d’erba giallastra schiacciato sull’asfalto.

—    Questo è il ringraziamento per averti accompagnato... -dice Lele in un tono basso, diverso. E all’improvviso tutto mi sembra davvero diverso. Un cambiamento come a volte succede mentre si parla, uno scarto repentino, un deragliamento veloce che ridisegna i rapporti e le proporzioni e che non sai neanche come e perché è successo.

—    A voi non interessava un tubo di accompagnarmi. Era l’occasione per fare qualcosa, non ve ne fregava un tubo.

—    Ehi, dove vai?

La voce di Lele mi raggiunge quando ormai sono fuori dalla macchina. Apro il baule e tiro fuori il sacco a pelo e lo zaino.

—    Si può sapere dove vai, adesso?

Lele e Becco sono scesi dalla macchina. Becco ha una mano agganciata al bordo superiore della portiera aperta e un piede ancora dentro. La fronte contratta e il labbro inferiore stretto tra i denti gli danno un’aria pensosa. Lele, invece, è al centro della strada, le gambe leggermente divaricate e le braccia aperte ai lati del busto. — Si può sapere cosa hai intenzione di fare? - dice.
Giro le spalle ad entrambi e mi incammino. - Me ne vado. Torno all’imbocco dell’autostrada e mi faccio dare un passaggio.

-    Cosa?

La voce di Lele mi arriva forte e nitida accompagnata da una folata di vento caldo. Per un attimo mi attraversa veloce la sensazione che quello che sto facendo sia solo scena. Un pensiero che si stempera e si dilegua altrettanto rapidamente quando Becco urla non avrai intenzione di lasciarmi solo con questo qua e Lele gli risponde ma sta’ zitto santiddio!

-    Ma lo vedete come siete? Non fate altro che pensare a voi stessi! E io sono stufo!

-    Avanti, torna indietro...

-No.

-    Ale, per favore!

-No.

Lo sento che mi rincorre, Lele. Dapprima è una corsa lenta e regolare che diventa sostenuta e veloce quando accelero il passo.

-    Fermati, dài...

-No.

Stringo il sacco a pelo sotto il braccio, mi sistemo meglio lo zaino sulla spalla e comincio a correre. Il caldo soffocante, il sole che mi batte sul collo e sulla schiena e la strada leggermente in salita mi fanno sudare. E anche se il quadretto comincia ad apparirmi ridicolo, io e Lele che ci rincorriamo sotto questo cie-

lo    azzurro di fine luglio con Becco che da lontano grida ma cosa siete deficienti, ormai è diventata una questione di principio. Sarà il peso della roba che mi porto dietro, sarà il caldo, sarà che a scuola saltavo quasi sempre l’ora di ginnastica, ma dopo nemmeno cento metri, il fiato grosso, l’aria che mi brucia i polmoni e le gambe che cedono, sono costretto a rallentare. E Lele mi afferra per lo zaino proprio in quel momento. E tira cosi forte che perdiamo l’equilibrio, inciampiamo, slittiamo di lato e cadiamo lunghi distesi in mezzo all’erba che alta costeggia il ciglio della strada.
A terra, sdraiati uno di fianco all’altro rimaniamo qualche secondo in silenzio. Chiudo gli occhi e il respiro pesante di Lele si accorda con il mio. Il canto dei grilli, forte e nitido, è come se nascesse direttamente nell’aria.

—    Ma che ti salta in mente... — ansimo. Mi premo un lembo della maglietta sulla faccia per asciugare il sudore, poi, sempre respirando a bocca aperta giro la testa e lo guardo. Il suo profilo spunta oltre il ciuffo d’erba che divide le nostre teste. Anche lui respira a bocca aperta. Le braccia spalancate e gli occhi chiusi.

—    L’hai visto... Standby me? — dice lentamente nel tentativo di tenere sotto controllo la respirazione.

—    Cosa...?

—    Il film. Stand by me, l’hai visto?

-Si.

—    River Phoenix non ha... corso cosi tanto per raggiungere il suo amico.

Richiudo gli occhi. - Non aveva degli amici come voi, River Phoenix.

—    Già, però litigano un sacco...

—    Non litigano un sacco.

—    A me sembrava di si.

—    E comunque loro avevano dodici anni e noi diciotto.

—    Questo non c’entra...

Si tira anche lui un lembo di maglia sulla faccia e si asciuga

il    sudore.

—    Non credevo guardassi film del genere, — dico dopo un po’.

—    È un bel film.

—    Si, ma cosa c’entra con noi?

—    Mi è venuto in mente prima, mentre ti rincorrevo. Anzi, più ci penso più questo viaggio mi sembra un’avventura alla Stand by me —. Gira la testa e mi guarda, Lele. Di nuovo quello sguardo lungo e lento.

—    Ale, se te ne vai adesso non ha più senso... Voglio dire, siamo partiti insieme, ma il viaggio non è solo tuo. E anche nostro, adesso... Non importa il motivo per cui abbiamo accettato di accompagnarti... è anche nostro, adesso...

-    Davvero molto bucolica e virgiliana, la scenetta, ma adesso che si fa? - Becco ci ha raggiunto e adesso è in piedi sul ciglio della strada e ci guarda e sorride. - Vi manca solo la cetra e qualche pecora.

Lele ride alla battuta di Becco, poi si solleva su un gomito e mi guarda speranzoso. - Allora?

—    Accidenti... Vediamo almeno di trovare qualcuno che ci aiuti.

La campagna è quella assolata e calda di mezzogiorno. Immobile e gialla, trattenuta in movimenti lenti e assonnati. Il rumore è quello dei grilli o forse delle cicale, un lungo respiro ritmico che solleva l’aria.

Camminiamo uno di fianco all’altro. Io al centro, Lele alla mia sinistra e Becco alla mia destra. Stringo il sacco a pelo come se tenessi in braccio un bambino.

È Lele a portare il mio zaino. E ad ogni passo che fa lo zaino dondola e mi sfiora la spalla, come una mano che mi tocca.

C è questa cosa che mi ha detto Lele. È una girandola dentro, colorata e proprio al centro della testa. Una certezza che non sì può spiegare. È davvero come in Stand by me, questo viaggio. Che non ha senso se non stiamo tutti insieme.

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