CAPITOLO SESTO

-    Se ad Ale concedi Nick Cave, dopo mi fai sentire Pergol...

-    Assolutamente no!

-Salve Regi...

-No!

Ho dovuto discutere con Lele un quarto d’ora, poi alla fine ha ceduto. Solo una canzone, però.

Lele dice che Nick Cave è una lagna. Dice che io e Becco siamo sempre sotto tono per questo motivo. Per via della musica che ascoltiamo.

Però adesso sta zitto.

L’organo basso è un tappeto di seta che ondeggia sotto e sopra e insieme alla voce di Nick Cave. È rauca e calda, la sua voce. È una danza lenta, la canzone. Di voce, di parole e di organo. Pochi accordi di piano come grosse gocce di acqua bollente. Canta Black Hair, Nick Cave. Più che cantare, recita, però. In modo lento, strisciante, insinuante. Teso e morbido come un elastico che non si spezza. O come un serpente liquido che ti scivola dentro il corpo.

Stiamo zitti, adesso.

Cresce di tono, la voce. Si trascina in alto sul tappeto di seta, ma di poco, quasi con fatica. Incerta. È come aggrapparsi con le mani ad un muretto per dare una sbirciata oltre.

Penetra in ogni angolo dell’abitacolo, la canzone. Cola dal tetto sulle nostre teste e si allarga. Sul cruscotto, sui vetri, fra le nostre mani. Dentro il cervello e negli occhi. Le parole sono le parole di un addio. Parla di una ragazza dai capelli neri che ha preso un treno per l’ovest, che se ne andata via. E quello che lui ricorda adesso è proprio l’odore forte dei suoi capelli sul cuscino e fra le dita. Dei suoi capelli neri come l’inchiostro e come il mare pili profondo.

Si fonde con la strada e con questo pomeriggio assolato, la canzone. Ammorbidisce i colori e rallenta il mondo attorno. Come se viaggiassimo su un nastro d’ovatta sospeso nel niente.

Lele dice che è una lagna, Nick Cave. Però la canzone finisce e ne inizia un’altra. E un’altra ancora.

Guida in silenzio. Una mano sul volante e l’altra abbandonata sul cambio. Becco non riesco a vederlo. Non c’è alcun movimento, dietro. Forse anche loro sentono quello che sento io, anche loro immaginano quello che immagino io. Me lo chiedo.

Sto andando in Puglia dalla mia ragazza insieme a Becco e Lele, che sono miei compagni di classe del liceo, che sono forse amici, ma che adesso scopro di non conoscere affatto. Le cose che rendono amici, sono quelle le cose che non so. Abbiamo trascorso cinque anni insieme. Ogni giorno per cinque lunghi anni abbiamo condiviso levatacce mattutine, compiti in classe, interrogazioni, appunti, scherzi e qualche tiro col pallone nel cortile. Ci sono stati alcuni pomeriggi di studio, qualche uscita serale, impressioni sui compiti e un sacco di litigate.

So che Lele è ricco e che adora suo padre e so che Becco ha una sorella più vecchia e che da grande vuole fare lo scrittore. Loro sanno che stavo con una ragazza che adesso dice di non amarmi più.

Ecco quello che realmente sappiamo, l’uno dell’altro. La superfìcie. Il contorno. L’involucro. Ma cos e che ama Becco nelle parole e nei libri, cos’è che fa essere Lele cosi superficiale, questo, non lo so. Nessuno dei tre ha mai parlato con l’altro. Loro non sanno che io piango per lei, e non sanno nemmeno quanto questo viaggio sia importante per me. Loro non sanno niente e in non so niente. Eppure c’è qualcosa che ci lega. Un sottile filo i Ite ci gira attorno, una bava di ragno che ci incolla l’uno all'alno. C’è un legame che ci spinge l’uno verso l’altro. C’è un lega-mt* se adesso siamo qui e corriamo sulla strada, terza corsia fìssa, ili lezione sud.

Adesso me lo fai ascoltare Pergolesi?

Allora non ci capiamo?

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