CAPITOLO TREDICESIMO

Mentre imbocchiamo di nuovo 1 autostrada al casello di Ri-mini-Sud Chris Rea canta Lookingfor thè summer. È una voce ruvida e ovattata. Corde acute di chitarra pizzicate in punta di dita, un ritmo veloce di batteria e poi la sua voce. Una tela grezza che sbatte dentro il vento. Un basso rotondo a riempire gli spazi. Una canzone fatta per viaggiare, penso. Per andare alla ricerca di qualcosa.

Il sole pallido del mattino illumina l’aria di giallo, ravviva il verde oltre i bordi della strada e fa risplendere le auto, gigantesche biglie colorate su una pista d’asfalto.

Non ci diciamo quasi niente, però c’è una strana atmosfera stamattina. Lele è contento. Si agita sul sedile a tempo di musica. Quando la radio manda Coccodrilli di Samuele Bersani inizia anche a canticchiare, e lo fa in un modo cosi buffo e contagioso che finiamo per metterci a cantare tutti e tre. Quando la canzone finisce abbassa il volume, si toglie gli occhiali da sole e mi guarda. Sta per dire qualcosa quando Becco si sporge tra i sedi-

li    e tenendo un libro in mano dice: — Okay, adesso momento culturale. Preferite una poesia di Borges oppure di Neruda?

Nessuno dei due risponde. Dal modo in cui Lele ha indugiato prima di distogliere gli occhi da me capisco che quello che stava per dire doveva essere qualcosa di importante. Poi, ha teso le labbra in un sorriso veloce e ha inforcato di nuovo gli occhiali.
-    Allora?

-    Allora che? - chiede Lele.

Quello sguardo mi lascia perplesso. È stato come una decelerazione nel tessuto del tempo. Un elemento estraneo e rapido che mi disorienta. Poi tutto si contrae e Lele torna quello di sempre.

-    Borges o Neruda?

-    Ma chi se ne frega! Devi sempre rompere le scatole con le tue poesie?

-    Okay, vada per Borges. Mi crocifiggono e io devo essere la croce e i chiodi...

-    Uffa che palle...

Ci fermiamo all’autogrill poco prima dell’uscita per Riccione. Ci sono un sacco di vacanzieri, uomini in canottiera e bermuda, bambini di tutte le età e donne e ragazze in minigonne e top da capogiro. Parcheggiamo di fianco a una macchina di ragazze. Tre bionde e una mora, sui venticinque anni e tutte e quattro molto carine. Stanno ripartendo e quando sentiamo che sono dirette aW’Aquafan, Lele con un sorriso che gli fa il giro della testa ci guarda e dice: - Deviazione?

-    Neanche per idea.

-    Ehi, scherzavo...

Facciamo colazione, compriamo una bottiglia d’acqua e qualche panino per il viaggio, e mentre io e Becco andiamo alla toilette a lavarci almeno la faccia e i denti, Lele si mette in fila per fare benzina.

Quando usciamo dal bagno Becco si batte una mano sulla fronte e dice: — Il giornale! Mi sono scordato di comprare il giornale! - Cosi mentre torna indietro io raggiungo Lele alla macchina.

Se ne sta seduto rigido, la testa dritta contro il poggiatesta, entrambe le mani sul volante, gli occhi schermati dalle lenti scure degli occhiali. Quando apro la portiera e mi siedo la sensazione che non mi abbia affatto sentito diventa certezza quan-( lo lo chiamo e lui non mi risponde. Sto per toccarlo su una spalla quando la fda davanti a noi si muove, la macchina dietro ci strombazza e Lele scatta sul sedile.

—    Ma che fai? — chiedo.

—    Merda... Mi sono addormentato... — dice. Sembra un po’ spaesato. Prima di realizzare cosa sta succedendo si toglie gli occhiali, guarda nello specchietto retrovisore, se li rimette, guarda davanti, se li toglie di nuovo, e solo alla fine ingrana la prima.

—    Dov’è Becco?

—    Ha scordato il giornale... Senti, vuoi che guidi io?

—    Non ho dormito molto, questa notte...

—    M’immagino... Se vuoi guido io?

—    Davvero?

—    Certo.

—    Okay...

Apro la portiera e sto per uscire quando Lele mi blocca afferrandomi per un braccio.

—    Senti... — dice.

Ha lo stesso sguardo di prima. Liquido e imbarazzato. Uno sguardo che tenta di sfuggire ma non ci riesce. Sorride, Lele. Ma non è il solito sorriso, questo, aperto, trasparente e contagioso. È un sorriso trattenuto, appena pronunciato, che trema un po’ sulle labbra.

—    Volevo dirvi grazie...

—    Grazie di che?

Mi lascia il braccio e abbassa lo sguardo. La fila si è mossa ancora. Richiudo la portiera e Lele ingrana di nuovo la prima. Ancora due macchine e poi tocca a noi.

—    Anzi, in realtà volevo dirlo a te, non so se Becco capirebbe...

—    Grazie per cosa?

—    Per questa notte... e per non esservi incazzati più di tanto...

—    Ehi, non ti preoccupare...
-    No, aspetta... Ci tengo che tu lo sappia che non è stata mancanza di rispetto nei tuoi confronti... - Tiene gli occhi fìssi davanti a sé e stringe il volante con entrambe le mani, imbarazzato. - Immagino che sia importante per te arrivare a Gallipoli prima possibile, insomma non è che...

-    Lele, non c’è problema... evidentemente era importante per te stare con lei, insomma si vive una volta sola, no? E poi è stata una bella notte anche per noi.

Lele mi guarda e sorride.

-    Davvero? E cosa avete fatto?

-    Abbiamo ricordato un sacco di cose del liceo, abbiamo parlato e abbiamo guardato le stelle, il cielo...

-    Cosa?

-    Il paesaggio, insomma...

Lele mi guarda arricciando il naso. - Detto cosi non sembra un granché...

-    Be’, ti posso assicurare che lo era...

-    Davvero?

-Si.

Esita un attimo, Lele. Il tono di voce è appena un po’ più basso, rauco. - Dici che mi sono perso qualcosa?

-    Mmh... può darsi... - Sorrido. - Però mi sa che ti sei divertito di più tu.

Fa scivolare le mani attorno al volante diverse volte. È imbarazzato e forse un po’ confuso, Lele. È la prima volta che lo vedo cosi. È la prima volta che avverto in lui la voglia di parlare. È come una tensione, una molla carica pronta a schizzare.

-    Senti... - dico, - perché Becco non capirebbe?

-    Perché lui è cosi... cosi... Crede che io sia... Insomma, lo so quello che pensa di me... Un po’ stupido e viziato...

-    Ti sbagli... - Mi blocco. Non so che dire. L’idea che Becco ha di Lele lo so che è vera, però so anche che a questa cosa non ci crede fino in fondo. È una percezione sfumata, la mia, che rimane in ombra. Un’intuizione nitida, che passa attraverso l’ombra.
—    Becco dice che farai di tutto per non partire per l’Inghilterra —. Mi esce di getto la frase, senza pensarci. Colpisce Lele forse con eccessiva violenza. Arresta la corsa delle mani sul volante e mi guarda, gli occhi stretti in un’espressione sorpresa.

—    Cosa?

—    Dice che i tuoi si stanno separando ed è per questo che vogliono che tu vada via...

—    Cosa? È ridicolo... non è vero... è ridicolo... Che ne sa, Becco...

—    Guarda che...

—    Ti dico che non è vero! - Il tono che usa è duro e secco. Forse troppo duro, e Lele se ne accorge. — Scusa... — dice.

—    No, scusa tu...

La macchina davanti a noi riparte. Lele si accosta alla pompa di benzina e al benzinaio che si è avvicinato dice: — Il pieno, per favore.

È crollato qualcosa. Un silenzio denso che ci allontana. Lele ha girato la testa dall’altra parte, fìssa la pompa di benzina e fa fìnta di niente. Si tocca il naso, nervoso. Lo guardo. Il pomo di Adamo che va su e giù, diverse volte, come se dovesse cacciare in fondo qualcosa di enorme, leggero e cattivo. Una bolla d’aria che soffoca, o un animale nero che si aggrappa e spinge e fa male.

Lo guardo e mi viene in mente quella cosa che mi aveva detto Becco sulla spiaggia. Mi spinge sulla lingua, contro i denti e di nuovo, senza pensare, apro la bocca e parlo: — Becco dice che questa cosa ti fa soffrire.

Lele smette di tormentarsi il naso. Smette anche di deglutire. Si gira lentamente dalla mia parte. Uno sguardo lungo e pieno, due occhi che quando li guardi ti sembra di vederci tutto e niente, perché forse è proprio quello che vogliono dire: tutto e niente. Di quelli che ti scrutano, colmi di parole e domande, come se bastasse davvero uno sguardo per capire e per capirsi.

—    Non credo affatto che Becco pensi che tu sia stupido, — dico. — Credo che ti conosca meglio di quello che immagini... Forse viziato si, ma stupido, questo no.
Due occhi lucidi e fermi, quelli di Lele. Di quelli che non c’è bisogno di dire niente perché hanno già detto e capito tutto. È uno sguardo lungo, troppo lungo, più lungo del solito. E poi c’è quel sorriso. Uno di quei sorrisi che partono da dentro, che nascono e si allargano in fondo, da qualche parte, e quando arrivano fuori, sulle labbra, sono solo un’immagine pallida. Un sorriso timido, dipinto sulle labbra con una pennellata leggera. Le labbra si tendono cosi, incerte e tremolanti, quando quello che ti dicono è quello che speri, che cerchi, che vuoi sentirti dire. E Lele, lo so, ci tiene all’opinione di Becco. Può fare fìnta che non gli interessi, ma questo sguardo e questo sorriso non mentono. Basta una volta, una volta sola, e tutto cambia, tutta l’idea che hai di una persona si ridisegna, si ridefìnisce. E allora, mentre dico a Lele questa cosa di Becco, mi accorgo che questo pensiero è anche il mio. Non sei stupido Lele, forse viziato si, ma stupido no. Perché a volte basta uno sguardo un po’ più lungo del solito o una manciata di parole o anche solo l’inclinazione di un sorriso per arrivare dritto dentro una persona. Basta poco, a volte, per capire, per rompere l’involucro e vedere oltre. E dopo, indietro, non si torna più.

-Ale?

-Si?

-    Comunque grazie per stanotte. Altri al posto vostro si sarebbero incazzati.

-    Lo so.

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