CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

C’è solo la macchina di Lele. Quando sono sceso sul lungo mare, verso le otto, l’ho riconosciuta subito. Era parcheggiata tutta storta al limite della spiaggia, ricoperta da uno strato sottile di sabbia. Forse era li dal pomeriggio.

Loro due sono seduti vicino alla riva. Passo di fianco alla macchina e affondo le scarpe nella sabbia. È di un colore dorato la sabbia al tramonto, gli ultimi raggi del sole ci arrivano di striscio, radenti, e la fanno sembrare un’immensa distesa di polvere d’oro. Mi incammino verso Lele e Becco. Li vedo gesticolare, vedo le loro sagome in contro luce e sono nere, due corpi scuri contro il sole arancione, incandescente. È davvero un bel tramonto, sono belli i tramonti sulla spiaggia, silenziosi e caldi. Il cielo è tutto uno sfumarsi di colore. L’intera tavolozza è li, in quella porzione di cielo, nel momento esatto in cui il sole scivola dentro l’acqua. Rosso come il succo delle arance, le sanguinelle.

Stanno parlando Becco e Lele, ma non riesco a sentire cosa si dicono. C’è il rumore delle onde, piccole e basse, che si infrangono sulla riva. Un canto sottile, una ninna nanna sottovoce, un mormorio, o una nenia lenta e perfetta. Lingue di acqua che leccano la riva.

Mi avvicino barcollando perché mi fanno male i polpacci e perché camminare sulla sabbia è faticoso. I muscoli di tutto il corpo si tendono e si contraggono per mantenere l’equilibrio.
Sono a pochi metri da loro quando Becco volta la testa di scatto e mi vede. Anche Lele gira la testa, di riflesso. Sono diversi. Becco ha la camicia aperta, il volto arrossato dal sole e i capelli induriti dall’acqua e dalla sabbia. Lele è a petto nudo, la sua polo di marca attorno al collo tutta sdrucita, arrotolata come un asciugamano, e i capelli dritti. Ma non dal gel questa volta, dalla salsedine. Lo capiscono subito, dalla mia faccia, che il mio incontro è andato male.

-    Ci dispiace, - dice Lele.

-    Me lo aspettavo, - dico. Mi siedo di fianco a loro. - Ma che avete fatto? Avete delle facce...

-    Abbiamo fatto il bagno, - dice Becco, - e Lele ha scoperto che riesce a cuccare anche spettinato e con la barba. Un vero traguardo...

Ridiamo.

-    A parte gli scherzi, - continua Lele. Mi guarda serio. - Come andata?

Mi sdraio, le braccia incrociate dietro la testa, e sospiro. - Male. Sapete chi ho trovato a casa sua?

-Chi?

-    Filippo.

-    Quello di terza C? - dice Lele sorpreso.

-Si.

-    Non è possibile... Quello con la faccia da imbecille patentato? - dice Becco.

-    Esatto.

-    Quello che all’esame di maturità ha detto che D’Annunzio era un estetista?

-Si...

Ci guardiamo in faccia e scoppiamo a ridere.

-    E insisteva anche... Diceva: si, si un estetista, come Oscar Wilde...

Un gabbiano attraversa il cielo. Canta in quel modo struggente come solo i gabbiani fanno, scuotendo l’aria, lacerandola.
Lo guardiamo planare fino a sfiorare il pelo dell’acqua e poi risalire, le ali sottili che sbattono leggere per riprendere quota. E poi si allontana di nuovo, sospeso nel cielo, solitario.

-    Ale, ci dispiace davvero, — dice Becco.

-    Speravamo che almeno a te andasse meglio, - dice Lele. - Voglio dire... non è che sia stato un gran viaggio, insomma ognuno di noi si è preso una bella batosta...

-    Già...

-    Se non c’eravate voi non so come avrei fatto...

-    Nemmeno io, — dice Becco. — Però ci siamo anche divertiti, no?

Io e Lele lo guardiamo. Sarà per la luce, ma gli occhi di Becco brillano in uno strano modo. — Io non mi sono mai divertito cosi tanto.

-    Be’, effettivamente, - dico. - Becco, tu dovevi vedere la faccia di Lele quando abbiamo forato...

-    Credevo di morire dal ridere quando è rientrato in macchina con quel cerchio nero sulla maglia... E gli HarleyistP.

-    È vero, è vero, — dice Lele ridendo. — Sembrava di essere in un film. Abbiamo fatto una volata pazzesca...

-    E la mattina a San Marino, — dico, — quando sei arrivato tutto pimpante con quelle brioche? Tutto quello zucchero a velo...

-    E lui che diceva questo è deficiente, questo è deficiente... Accidenti, nemmeno io mi sono mai divertito cosi... È stata un’avventura, cinque giorni solo per arrivare a Gallipoli...

-    Già, e adesso è finita, - dico.

Ci lanciamo un lungo sguardo. Abbiamo condiviso qualcosa di importante, insieme. Non lo so cos e, forse la certezza di aver perso qualcosa, o forse, semplicemente la sensazione che qualcosa è cambiato non solo fuori ma anche dentro di noi.

-    Sono contento che mi abbiate accompagnato, — dico. La mia voce si confonde col mormorio dell’acqua.

-    Continueremo a vederci, vero? - chiede Lele. - Non ci perderemo di vista anche se andremo all’università? Perché di solito succede cosi, si è tanto amici, poi non appena le strade si dividono ci si perde, si conosce altra gente, si fanno altre amicizie e cosi... e cosi...

Guarda verso il mare, Lele. Sembra tutto più triste adesso perché quella cosa sull’amicizia è vera, perché le cose cambiano e noi non possiamo farci niente, anche quelle che sembrano importanti e insostituibili non durano per sempre.

È buio quando ripartiamo. La luna quasi piena rischiara le campagne attorno. È la prima volta che viaggiamo di notte, la luce bianca dei fari sulla strada e le luci della città che ci lasciamo alle spalle. Siamo arrivati a Lecce in meno di mezz’ora, la radio a tutto volume e senza scambiarci nemmeno una parola.

Non è come all’inizio. Questo è un viaggio di ritorno ed è triste proprio come tutti i viaggi che ti portano dove non vuoi andare. Tornare è lasciarsi indietro un pezzettino di anima, e noi questo lo sappiamo.

È stato mentre ci avvicinavamo all’imbocco dell’autostrada che Lele ha fermato la macchina e ha detto quella cosa. Teneva gli occhi fìssi di fronte a sé e parlava lentamente. Dapprima sembrava un discorso senza senso, come se parlasse a se stesso, e poi, mano a mano che le parole gli uscivano dalle labbra io e Becco abbiamo capito.

In questi cinque giorni sono successe un bel po’ di cose brutte, un sacco di delusioni... però ci siamo anche divertiti... chi l’ha detto che le cose devono sempre finire, possono anche ricominciare a volte, e questo è il nostro momento, se non lo facciamo adesso che abbiamo diciotto anni, non lo faremo più, gli amici fanno un sacco di cose insieme e più cose condividono più diventano amici, e dopo nessuno riesce a dividerli, nemmeno gli anni che passano... nessuno li divide gli amici...

Ci siamo guardati a lungo, immobili, il respiro trattenuto in fondo alla gola. Non c’è stato bisogno di aggiungere altro. Questo era il nostro momento, questa la nostra estate e questo il nostro viaggio. Siamo scoppiati a ridere. E quando Ligabue ha iniziato a cantare certe notti la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei, è stato quello il momento in cui è successo. Il momento esatto in cui Lele ha ingranato la prima e ha fatto inversione.

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